Da una grotta, un santuario
Il complesso conosciuto come Eremo delle Carceri nasce e si sviluppa attorno alla grotta in cui San Francesco d’Assisi si ritirava a pregare. L’Eremo delle Carceri è un luogo della memoria, custodito dai frati francescani che ancora vivono lì, ed è anche un luogo di testimonianza, fortemente intriso di spiritualità. Qui si conserva non solo il punto esatto in cui Francesco dialogava con Dio, ma anche il modo con cui il fraticello parlava al Signore, in stretto legame con la natura. Francesco, infatti, si immergeva nella contemplazione del creato, per lui segno dell’amore di Dio, fino a chiamare sorella anche la più piccola bellezza naturale, come ricorda il suo biografo San Bonaventura: “considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella” (Legenda Maior, VIII, 6).
Dentro una fitta selva sulle pendici del Monte Subasio, a 790 metri di altezza, vi erano ai tempi di Francesco delle grotte naturali e solo una piccola chiesetta, dedicata a Santa Maria delle Carceri. Il colore caldo delle pietre, materiale di costruzione della chiesa e poi di tutto il santuario, si sposa con il verde della natura circostante rendendo unico questo sito incastonato nel bosco umbro.
La libertà nelle Carceri
Francesco scopre questo luogo dopo essere stato fatto prigioniero nella battaglia combattuta tra Perugia e Assisi nel 1202. Dopo quasi un anno in carcere, viene liberato e inizia il suo cammino di conversione. Il giovane Francesco cerca un posto lontano da tutti per raccogliersi in silenzio e tentare di trovare una risposta alle sue domande. Sceglie la grotta in questo bosco di lecci, uno spazio eremitico. In generale, un eremo è un posto particolarmente isolato dove alcuni uomini, gli eremiti, decidevano di abitare per vivere appartati dal mondo.
Il termine “Carceri” legato a questo sito non fa riferimento alle prigioni di guerra, ma deriva da un modo di dire in uso al tempo di Francesco: “Se carcere”, a significare l’atto di ritirarsi in preghiera in piccoli e austeri spazi come le grotte. In contraddizione con l’idea della prigionia che comunemente si associa all’essere segregato dal mondo, qui il Santo faceva esperienza della libertà dalle cose, prima per sé e poi condividendola con i suoi confratelli. Per questa ragione, durante la sua vita torna spesso all’eremo dove era solito trascorrere lunghi periodi di tempo. Poco dopo la sua morte, l’eremo si trasforma in un luogo pronto a ospitare una forma di vita comunitaria, e vi viene costruito un piccolo convento per pochi francescani che scelgono una vita contemplativa.
Gli spazi dell’Eremo delle Carceri
Quando San Francesco “si carcerava” qui con i suoi seguaci, non vi era nulla di quello che è oggi visibile. La struttura attuale viene costruita nel Quattrocento per volere di un altro santo francescano, San Bernardino da Siena (1380 – 1444).
Visitando l’eremo si accede a un cortile di forma triangolare, molto semplice e spoglio, con al centro un pozzo che ricorda il punto da cui sarebbe sgorgata l’acqua a seguito di un miracolo di Francesco. Su un lato del cortile vi è una chiesa quattrocentesca, dedicata a San Bernardino, che conserva al suo interno una decorazione ad affresco raffigurante una crocifissione realizzata a metà del XV secolo; vi è inoltre una piccola vetrata di produzione francese e un altro dipinto successivo con lo stemma del Monte di Pietà. Il Monte di Pietà è un istituto di beneficenza che raccoglieva somme di denaro da pubblici o privati per concedere prestiti non troppo elevati alla popolazione della città o del contado, permettendo di avere denaro senza interessi. L’istituto nasce a Perugia nel 1462 per volontà di due frati francescani: beato Michele Carcano e Fra Barnaba Manassei da Terni, sepolto nella cappella della Maddalena all’interno di questo santuario.
In osservanza alla vita di comunità che si svolgeva all’interno del complesso, nel Quattrocento viene costruito un refettorio, uno spazio comune dove mangiare insieme.
Il “buco del diavolo”
La visita prosegue con la chiesa primitiva di Santa Maria delle Carceri e, attraverso una scalinata, si giunge fino alla grotta di San Francesco dove è indicato il suo giaciglio: un materasso di pietra. Uscendo dalla grotta, un pavimento con un piccolo foro, chiamato il “buco del diavolo”, copre il crepaccio sottostante. Nel capitolo 29 dei “Fioretti di San Francesco”, si racconta che frate Rufino, che abitava in questo luogo, era vittima degli inganni del demonio. Francesco gli suggerisce dunque una colorita risposta, che avrebbe fatto manifestare il diavolo mettendolo in fuga. Il Maligno, sdegnato dalla risposta di Rufino, con grande strepito cade dal dirupo dell’eremo per non tornarvi mai più. Questo è un episodio letterario che rimanda a un significato profondo: l’uomo può cadere in tentazione e, in assenza di tutto, dubitare anche dell’amore di Dio.
Proseguendo il percorso con una passeggiata nel bosco sarà possibile ammirare il leccio secolare di fronte al quale, secondo la tradizione, Francesco predicava agli uccelli.
Meravigliosa armonia
I frati custodiscono ancora oggi questo luogo sacro che, già dal 1237, era conosciuto come Eremo delle Carceri di San Francesco. Papa Francesco nell’enciclica “Laudato sii” ricorda così il Santo di Assisi: “Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con sé stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore”.